Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

28/10/13

"I FATTI AL POSTO DELLE PAROLE" - INTERVISTA A PAVEL VDOVICENKO


«I FATTI AL POSTO DELLE PAROLE»:

LA VITA RUSSO-SOVIETICA DELLE ORGANIZAZZIONI NON PROFIT

 

Intervista a Pavel Vdovičenko (parte 1)

dal sito di Civil Dignity - Гражданское достоинство

 

L’attività di Pavel Vdovičenko – membro del presidium di “Graždanskoe dostoinstvo” (Dignità civile) –da tanti anni è ormai legata alla regione di Cernobyl. Pavel partecipa ai lavori del Consiglio civile e del Consiglio di coordinamento per lo sviluppo del volontariato del Distretto federale della Russia centrale. È fondatore e ideologo dell’organizzazione pubblica “Radimici per i bambini di Cernobyl”, la quale oggi è riconosciuta come uno dei biglietti da visita del settore non profit in Russia. Gli attivisti di Radimici difendono i diritti dei cernobyliani, lavorano con i bambini con paralisi cerebrale, contribuiscono al risanamento degli scolari nel contesto di programmi d’integrazione ecc. Quando e perché Pavel Vdovičenko – insegnante di discipline sociali di una cittadina provinciale – diventa un leader attivista? Che cosa oggi, secondo lui, ostacola lo sviluppo del terzo settore in Russia? Sentiamo…

– Pavel Ivanovič, perché ha legato la sua vita all’attività nel terzo settore, quello non profit?

– Le circostanze hanno voluto che io passassi una parte significativa della mia vita cosciente nella cittadina di Novozybkov, la quale si trova all’estremo ovest del paese. Da noi per arrivare a Gomel’, in Bielorussia, ci sono 80 km, a Černigov, in Ucraina, 170 km, ma fino a Brjansk, nostro capoluogo russo di regione, più di 200… Fiumi limpidi, boschi pieni di selvaggina, funghi e frutti di bosco, gente semplice e laboriosa. Lavoravo in un istituto superiore dove si effettuava la preparazione dei maestri delle prime classi per le scuole di villaggio dei dintorni e di quelle “oltre confine” (ucraine e bielorusse). Da bravo insegnante di discipline sociali, io conducevo i miei pupilli “verso le successive vette del socialismo evoluto”, credendo in tutta sincerità che il nostro paese fosse il migliore al mondo. Ora è triste e ridicolo ricordare come io, che non ero stato NEANCHE UNA VOLTA all’estero, cercassi di convincere i miei alunni che i problemi dell’URSS (che in quel periodo non facevano che crescere) erano inconsistenti se confrontati con gli enormi problemi del mondo del capitale, di un portuale francese o di un fattore americano. Nel 1985 giunse il tempo della perestrojka e noi, gioventù dei ’70 e degli ’80, con ammirazione ascoltavamo il nuovo leader del paese, Michail Gorbačëv, che per primo cominciò a parlare senza carte e documenti, improvvisando. Allora avevo poco più di trent’anni e credetti sinceramente che fosse giunto il tempo dei cambiamenti. A quell’epoca la “democratizzazione” avvenne anche dentro di me. Altri possono confermare che proprio verso la metà degli anni ’80 per me ebbe inizio la strada nel terzo settore.

– Perché scelse il tema di Cernobyl?

– Cernobyl dista dalla nostra città 180 chilometri. Può sembrare lontano. Tuttavia, dopo il 26 aprile del 1986, la nostra terra divenne ostaggio di una situazione complicata e poco chiara per gli scienziati, il personale tecnico e i dirigenti politici del paese. Il fatto è che noi ci venimmo a trovare sulla traiettoria delle nubi radioattive che si stavano muovendo a est, verso la regione di Mosca. Esiste una versione dei fatti secondo cui le nubi “si riversarono” con una pioggia di cesio e di stronzio sulle nostre città e sui nostri villaggi non senza l’aiuto degli impianti d’artiglieria e dell’aviazione dell’Armata rossa e delle forze armate del paese. Se così fu per davvero, allora dobbiamo comprendere che venne commesso un crimine di stato ai danni del proprio popolo. Perché nessuno ci avvertì del pericolo incombente, nessuno fece niente per mettere al sicuro le nostre vite in quei primi giorni, i più pericolosi. Non solo, ma ci schierarono, bambini compresi, nei cortei del Primo Maggio e poi c’invitarono ai pic-nic nei boschi che “risuonavano” per le radiazioni…
Ma torniamo al nostro tema: Novozybkov venne a trovarsi nella zona con un altissimo livello di radiazioni. Gli scienziati, e in seguito i funzionari di rango, annunciarono che da lì in avanti noi avremmo vissuto nella “zona a trasferimento obbligatorio”. Vivere in quella località e non prestare attenzione a quel tema mi sembrò allora una cosa talmente innaturale, che presto fondai l’organizzazione giovanile “Radimici” per difendere i diritti della gente colpita da Cernobyl.
Mi ci volle esattamente un anno per comprendere che le radiazioni nei nostri boschi, nei nostri campi, nelle nostre vie ci sarebbero rimaste molto a lungo. Era il periodo della democrazia di strada, e pure io partecipavo ai comizi. Ma tale forma di “svaporazione” mi fece riflettere: «Cosa stiamo facendo? Critichiamo i burocrati e gli altolocati…». Tuttavia continuavamo ad andare con fervore a tutti i comizi, passando davanti a mucchi di immondizia radioattiva, cercando di nascondere lo sguardo da una vecchietta che si trascinava solitaria in stato pietoso. A noi, uomini sovietici, non ci si poteva accusare di durezza di cuore, ma perché allora mandavamo i nostri bambini invalidi, i nostri bambini spesso ammalati negli internati in campagna, nelle “scuole nel bosco”? Ancora prima degli avvenimenti di Cernobyl, un certo marciume interiore aveva colpito la nostra società. Per questo io, una volta, dalla tribuna invitai i manifestanti a mitigare l’impeto degli interventi, a tornare a casa e cominciare a modificare la società partendo da se stessi. Da lì a Radimici nacquero gli slogan: “I fatti al posto delle parole”, “Fare, e non parlare”.

– Chi partecipava al lavoro di Radimici nel periodo di formazione dell’organizzazione?

– Probabilmente farà un po’ ridere, ma si trattava di ragazze e ragazzi di 15-18 anni. Il club “Radimici” lo fondammo un anno dopo gli avvenimenti di Cernobyl, nell’aprile del 1987. Proposi a ragazze e ragazzi che allora frequentavano l’Istituto pedagogico di Novozybkov di unirsi un una comunità di giovani i cui partecipanti fossero pronti a diventare più forti aiutando i più deboli. La proposta venne accolta con entusiasmo. Creammo un club giovanile. Mediante l’affrontare i problemi quotidiani di bambini, invalidi e anziani gli stessi membri del club si fecero più adulti, cambiarono. Una settimana dopo l’altra, loro si occupavano di cose molto semplici: lavavano la biancheria alle persone anziane, preparavano delle rappresentazioni coi burattini per i bambini del prijut, spaccavano la legna, aiutavano a raccogliere le patate nei villaggi, seguivano i bambini con capacità limitate. A lungo pensammo a come si sarebbe dovuto chiamare il nostro club, nel quale erano confluiti russi, bielorussi, ucraini. La soluzione la trovammo nel lontano, ma comune per tutti noi, passato: nel periodo della formazione della Rus’ di Kiev, nei crocevia degli attuali confini tra Russia, Ucraina e Bielorussia viveva la stirpe slava dei radimiči. A noi questa parola non sembrò “desueta”, e inoltre derivava dal nostro comune (!) passato. E così cominciammo a chiamarci “radimiči”.
Poi c’inventammo l’emblema, nel quale una delle “ali” nere del simbolo “pericolo radioattivo” è coperta dall’immagine di un cuore. In tal modo cercavamo di dire che l’azione delle persone, l’aiuto nel superare le disgrazie umane fa diminuire la “forza” delle radiazioni.
Non tutto però ci riusciva. Spesso si sentiva l’assenza di esperienza nella pianificazione, non c’era abbastanza perseveranza, alcuni di noi erano impegnati qua e là con lo studio e s’assentavano per interi periodi. Con il passare degli anni, però, la squadra acquisì più esperienza, ci furono sempre meno problemi di indisciplina e si trovarono dei leader per i vari settori d’attività, i quali impararono a organizzare lo spazio tanto dentro di sé quanto intorno a sé.

– E quelli erano gli anni della perestrojka sovietica! Non son certo molte le organizzazioni non profit attualmente operanti che cominciarono l’attività già in epoca sovietica. E oggi?

– Oggi l’organizzazione pubblica “Radimici per i bambini di Cernobyl” (questo è il suo nome da ormai vent’anni) realizza più di una decina di diversi programmi. La maggior parte di essi ha 15-20 anni, alcuni anche di più. Anche a livello geografico non si ripetono l’un l’altro. I beneficiari di alcuni di essi sono gli abitanti della zona di Cernobyl della Russia. Ma nella storia della nostra organizzazione ci sono progetti le cui attività hanno toccato i territori contaminati di Russia, Ucraina e Bielorussia. In una serie di altri nostri programmi, in qualità di partecipanti o di beneficiari ci sono altre organizzazioni non profit, leader di associazioni di varie regioni della Russia centrale. Abbiamo programmi panrussi e internazionali.
Di regola, alla base di ogni programma ci sta l’iniziativa personale dei giovani volontari di Radimici. Senza risorse o prestiti esterni, tutto basato sull’energia interiore dei promotori e di tutta la squadra. Soltanto dopo uno-due-tre anni, se l’idea è cresciuta e si è confermata valida e attuabile, cerchiamo le risorse per una sua più ampia realizzazione. Ogni programma vede la luce come risposta a un bisogno del tempo, a un problema che riguarda una categoria di persone (in primo luogo i bambini e i giovani oppure gli anziani). Così è stato negli anni ’80 e ’90, e così è anche oggi.

– Chi è che sostiene Radimici finanziariamente?

– Detto chiaro e tondo: per un’organizzazione non profit di provincia trovare dei businessmen russi disposti ad appoggiare materialmente le idee e i programmi di persone entusiaste del mondo delle associazioni è inimmaginabilmente difficile. Così era anche 20, 10 e 2 anni fa. E la situazione è la stessa anche oggi. È probabile che la colpa sia prima di tutto anche nostra, degli attivisti sociali. Perché che legami può avere con il mondo del business un attivista sociale medio all’inizio della sua attività? Non ce n’ha. E gli stessi businessmen nelle zone periferiche della Russia sono piuttosto debolucci. E anche quelli che sono riusciti a svilupparsi, solo in parte lo hanno fatto grazie alla loro scaltrezza e alla loro intelligenza. Spesso solo grazie al fatto che le ragazze che lavorano come venditrici, vengono pagate con il minimo sindacale o semplicemente con una paga a giornata. Si tratta di sfruttamento. Senza giornate libere, ferie e malattia. Di produttori ce ne sono pochissimi, e per lo più sono indebitati (per l’acquisto di una nuova linea, di un congelatore ecc.)
I piccoli contributi di singoli donatori entusiasti o semplicemente di gente per bene oggi costituiscono una somma di non più di 50.000 rubli (1.100 €) al mese. Ma per portare avanti i nostri programmi ce ne vogliono 10 volte di più. 80.000 rubli (1.800 €) al mese se ne vanno solamente per le spese comunali degli edifici. Per questo abbiamo dovuto imparare a procurarci le risorse. Il fatto è che noi lavoriamo per i bambini bisognosi. E la maggior parte dei programmi sono assolutamente gratuiti per loro e per i giovani che frequentano Radimici. Noi cerchiamo i soldi in Russia. E quando non ci riusciamo, senza rimorsi di coscienza ci rivolgiamo all’estero. Nei diversi anni i progetti di “Radimici per i bambini di Cernobyl” hanno vinto vari concorsi e bandi e hanno ricevuto sostegno finanziario e organizzativo da: Ministero del lavoro della Federazione Russa, Fondo governativo della Federazione Russa; Programma di Sviluppo dell’ONU (New York, Ginevra, Mosca), Unione “Società civile per i bambini di Russia” (Mosca), Amministrazione della Regione di Brjansk; Amministrazione di Novozybkov.
Dal 2006 l’organizzazione è periodicamente sostenuta dall’Amministrazione presidenziale della Russia. Nel 2008 Marija Šarapova, in qualità di Console della Pace, su raccomandazione dell’UNDP ci ha dato un contributo – a nome della sua neonata fondazione – per la costruzione di una casetta in legno e di un’area sportiva al nostro campo di risanamento Novokemp e per lo svolgimento del turno informatico.
Tuttavia, per dirla onestamente, non avremmo mai potuto fare quello che abbiamo fatto senza i nostri amici e partner della Germania. Fin dal 1992 riceviamo in modo continuativo supporto metodico, fisico e finanziario dai volontari e dai membri dell’associazione umanitaria Pro-Ost della città tedesca di Solingen. Da ormai 21 anni, la loro compatta squadra di giornalisti, tecnici, imprenditori, medici, insegnanti, che all’inizio degli anni Novanta erano un semplice gruppo di giovani di 25-29 anni, partecipa attivamente all’opera di riabilitazione della popolazione delle province sud-occidentali della regione di Brjansk colpite dalla catastrofe alla centrale nucleare di Cernobyl. Loro fanno formazione dei volontari russi, insegnano loro a rapportarsi seriamente al lavoro, raccolgono in Germania i fondi per i programmi dei nostri partner negli interessi dei bambini russi.

– Pavel Ivanovič, Lei è stato a capo dell’organizzazione per tutti questi 26 anni?

– No. Sono stato presidente di “Radimici per i bambini di Cernobyl” per più di vent’anni. Poi ho riflettuto: “Non starò ripetendo la strada di molti leader di organizzazioni sociali di diverso livello, i quali trasformano l’iniziativa pubblica nell’organizzazione di un’unica persona?”. Nella mia organizzazione si era inoltre formato un nutrito gruppo di ragazzi laureati e diplomati che io stesso (insieme al collettivo) avevo tirato su. Perché mai dunque non avrei potuto passare la direzione nelle mani di coloro di cui mi fidavo? O si trattava di una fiducia soltanto a parole? Per farla breve, un giorno ho riunito il nostro Consiglio e ho proposto di eleggere presidente uno dei giovani di Radimici. È diventato presidente Andrej Budaev. E quindi dall’aprile 2009 io aiuto Radimici a stendere ponti con le autorità, con gli imprenditori, con l’estero. Rispondo a tantissime domande di giovani volontari e di persone esperte. Aiuto gli abitanti della zona di Cernobyl a risolvere problemi. Parallelamente a questo, svolgo un ruolo nel Consiglio della Camera pubblica cittadina e nel Consiglio di coordinamento per lo sviluppo del volontariato nel Distretto federale della Russia centrale.

– Quali sono le principali difficoltà che incontra nella sua attività?

– Di difficoltà ce ne sono tante. Le si possono dividere in esterne e interne. A quelle esterne si può annoverare la sfiducia nei confronti del settore della società civile da parte delle massime autorità dello stato; sfiducia che magari non di frequente ma in maniera molto netta viene formulata sia dal Presidente che dal suo entourage. Da qui poi ne deriva l’atteggiamento negativo di tutto il popolo dei funzionari nei confronti degli attivisti sociali… Detto questo, vorrei però aggiungere che il principale avversario dell’edificazione della società civile in Russia si trova dentro ciascuno di noi. È impresa ardua per noi, che veniamo per lo più dall’epoca passata, costruire qualcosa di nuovo, questa nuova società civile, per molti di noi incomprensibile. La perestrojka di ciascuno di noi è la cosa più difficile.
Un altro problema lo vedo nel fatto che nell’ambito delle iniziative e delle organizzazioni non profit vi sia, in primo luogo, una quantità esagerata di non professionisti e, in secondo luogo, di persone arrivate per sfogarsi, per litigare con qualcuno, per accusare qualcuno, ma poco disposte a guardare dentro di sé in maniera altrettanto rigorosa, a “ispezionare” le proprie azioni con la necessaria serietà. E, purtroppo, tra le nostre fila non mancano i veri e propri imbroglioni. E se a questi aggiungiamo le persone superficiali e credulone, quelle poco coerenti, che contano su un facile successo, che guardano a un’organizzazione non profit come a un trampolino per farsi pubblicità ecc., allora ne viene fuori un quadro non dei più allegri. Ma è così, noi terzo settore siamo tutte queste cose.
Per questo coloro che desiderano occuparsi di una causa egregia e persino coloro che già se ne occupano da tanti anni si sentono dire piuttosto di frequente: «Vi conosciamo, voi, gli onesti, quelli che vogliono aiutare tutti…». È triste, ma oggi è così, e la situazione va migliorata nel verso giusto.
La terza difficoltà consiste nel fatto che l’armata burocratica dei funzionari reagisce con massima rapidità a tutti i cambiamenti dei flussi finanziari, gettando abilmente le sue reti e le sue retine sulla loro strada. Nel caso concreto, mi riferisco al fatto che nelle regioni, dopo che sono state annunciate le gare di bandi russi per il terzo settore, sono sorte e continuano a sorgere delle strutture dalla proprietà incerta – con bei nomi e la sigla NKO (non profit) –, le quali compilano perfettamente i testi dei bandi, hanno lettere di raccomandazione dei governatori o del loro entourage. Esse hanno anche i loro “inviati” a Mosca… Tali strutture pretendono grosse somme di denaro e sanno bene come e con chi “condividerle” in modo da ricevere l’anno seguente ancora più “soldini”. Meglio non proseguire su questo tema. È doloroso.
Però lo ripeto, se vogliamo vivere in un paese con una società civile sviluppata, tutti questi cambiamenti dobbiamo iniziarli da noi stessi. E con vigore impegnarci nella formazione dei giovani, per una loro partecipazione attiva nel settore non commerciale. Tra di loro ce ne sono tanti che desiderano sinceramente cambiare le cose nel proprio paese. Altrimenti si va verso un vicolo cieco. Un vicolo cieco collettivo.

Data: 28.07.2013
Traduzione: S.F.

Link al file PDF dell'articolo

Link all'articolo originale

Nessun commento:

Posta un commento