Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

20/10/14

NOVOKEMP - LUGLIO 2014 - RELAZIONE DI JENNIFER




Jennifer Donisetti - 20 anni
Università Statale di Milano
(sede di Sesto San Giovanni)
Mediazione linguistica e culturale
 





















Questa meravigliosa esperienza inizia quando decido che è giunto il momento di fare un viaggio un po’ “alternativo” con destinazione Russia.

Terminata la sessione estiva degli esami, vedo tutti i miei amici, impazienti di fare le valigie per andare al mare, in montagna, a visitare qualche città, in ogni caso pronti per una vacanza spensierata all’insegna del divertimento.
È proprio in queste circostanze che io, persona cronicamente ansiosa, inizio ad andare in paranoia, e domande come: “..e se non capisco?, “... e se non mi trovo bene?” iniziano a frullarmi per la testa. Paranoie che si intensificano quando “faccio amicizia” con la burocrazia russa: lunghi moduli scritti in cirillico non sono decisamente un buon modo per tranquillizzarsi.

Per quanto incuriosita e felice di partire sono consapevole che sto per intraprendere un viaggio verso l’ignoto.

Eccoci arrivati, 16 luglio, ore 05.00: suona la sveglia e l’esperienza inizia. In aeroporto incontro le mie fedeli compagne di viaggio: Federica, Giulia e Francesca.

Dopo due aerei arriviamo a Mosca e siamo ancora abbastanza in forze: qui aspettiamo qualche ora il nostro treno, e conosciamo il tipico uomo russo, che puzza un po’ di vodka ma è molto disponibile e simpatico. Anche lui prende il nostro treno quindi ci accompagna al binario e si occupa anche dei bagagli.

Il mio primo approccio con il “treno ubriaco” non è dei migliori: fa caldo, sento un odore di vodka non troppo piacevole, la pulizia non è delle migliori e gli odori si fanno sempre più intensi. Decido di dormire un po’ ma il caldo unito all’ansia mi sono nemici. Tuttavia non mi faccio prendere dal panico e nel complesso mi tranquillizzo.

Sono subito colpita dalle sconfinate foreste russe, che con il tempo diventano per me un paesaggio davvero confortante oltre che tipico.

Dopo 10 ore di viaggio arriviamo a Uneča e ci accoglie Andrej: anche se fatico a capirlo si dimostra comprensivo e gentile, ci mostra il campo e ci lascia dormire qualche ora per recuperare le forze.

Più tardi e un po’ più riposata decido di fare un giro del campo con le altre ragazze: è semplice ma davvero molto accogliente. Mi sento davvero pronta ad iniziare l’esperienza.

Il primo incontro al campo lo abbiamo con Katja, nostro punto di riferimento per le tre settimane di permanenza. Non la capisco molto ma piano piano riusciamo ad intenderci e a costruire un bellissimo rapporto, che va al di là del lavoro ma diventa anche amichevole.

Le giornate sono sostanzialmente impostate in modo simile: al mattino i bambini hanno la possibilità di scegliere a quali “laboratori” partecipare. Mi sento molto coinvolta nel lavoro del campo, tanto che noi ragazze italiane siamo libere di gestire in modo piuttosto autonomo i nostri corsi di italiano, yoga, balletti e giochi italiani.

Nel primo pomeriggio, i bambini possono riposare e noi di norma organizziamo attività oppure siamo libere di riposare un po’ al laghetto vicino al campo oppure nella nostra casetta, semplice ma molto accogliente. Dalle 16,30 ricominciano i giochi: sono stupita dalla loro originalità e al contempo semplicità e mi diverto moltissimo a giocare insieme ai bambini. La sera si svolgono spettacoli e giochi, ma nella maggior parte dei casi si balla in discoteca. Qui mi diverto moltissimo e ho la possibilità di avvicinarmi ai bambini in maniera maggiormente spensierata.

La giornata termina con la planërka, quindi una riunione in cui si tirano le somme sullo svolgimento della giornata. Si tratta della parte della giornata che noi italiane odiamo di più, in quanto non sappiamo mai cosa dire e risultiamo un po’ banali nel dire semplicemente “la giornata è andata bene, i bambini erano contenti”, ma con il tempo questa carenza di originalità diverte anche i nostri colleghi madrelingua.

Di norma la giornata per noi non termina: dopo una doccia rigenerante trascorriamo ore notturne a chiacchierare e mangiare con gli altri ragazzi animatori del campo. Per quanto stanche amiamo questo momento, in cui abbiamo la possibilità di farci conoscere meglio e di intensificare maggiormente i rapporti.

I bambini sono meravigliosi: mi fanno stare allegra e spensierata, e per quanto piccoli sono curiosi di conoscere me e la mia cultura, a tratti molto diversa dalla loro. In particolare mi piace lavorare e aiutare la seconda famiglia e i bimbi più piccoli, i più disperati e vivaci. Li amo proprio per questo, perché mi fanno sentire utile, mi fanno divertire ma sanno anche viziarmi con continui massaggi e abbracci. Alcuni di loro hanno un trascorso piuttosto burrascoso, molti sono stati adottati perché orfani, altri sono sordomuti eccetera.

Tra loro Maksim mi rimarrà sempre nel cuore: si tratta di un bimbo di 8 anni che non parla ma che con i gesti e con gli sguardi sa rubarti il cuore, così come Alëša, altro bambino adottato, e Denis: si tratta di un ragazzino sordomuto, ma questo suo handicap non gli impedisce di ballare con gli altri bambini in discoteca e di mostrarsi esattamente uguale a tutti gli altri.

Altri ragazzi del campo imparano i ritmi e la vita militare. Molti di loro sono orfani di varie età e con vari trascorsi. Inizialmente mi chiedo il perché si debba insegnare a questi ragazzi a maneggiare armi, e sono piuttosto contrariata. Successivamente ho l’opportunità di conoscerli singolarmente e di vedere quanta umiltà sta dietro quella tuta mimetica. Mi viene spiegato che molti di loro non avranno un futuro roseo in quanto la società discrimina gli orfani, e per loro una delle poche soluzioni per vivere una vita decente è proprio arruolarsi, e ho capito che questa per loro è una grande opportunità. Anche la possibilità di imparare la disciplina è una cosa di notevole interesse.

Non ci sarebbe tempo sufficiente per parlare singolarmente di ognuno di loro, e in ogni caso a parole non sarei in grado di spiegare quanto ognuno di loro mi abbia lasciato nel cuore. Quello che posso dire è che a distanza di mesi ricordo ogni singolo volto, ogni singolo sorriso e ogni singolo gesto che ciascuno, nel suo piccolo, ha fatto per me.

Mai avrei pensato di vivere un’esperienza così intensa e mai avrei pensato che mi potesse arricchire così.

Che dire, posso soltanto ringraziare chi mi ha dato la possibilità di vivere quest’esperienza meravigliosa che mai e poi mai dimenticherò.

Jennifer Donisetti

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