Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

Il blog, e il relativo coordinamento progettuale, è aperto ai circoli Legambiente e a tutti gli altri soggetti che ne condividono il percorso e le finalità.

"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

20/11/17

LA CITTÀ INCANTATA

Novokemp, agosto 2017


Ho deciso di intitolare così il resoconto della mia esperienza a Novokemp, menzionando uno dei miei film preferiti che racchiude in sé valori tra cui l’importanza della famiglia, l’affetto di un amico, la capacità di adattarsi alle situazioni più difficili e, primo fra tutti, la spensieratezza.

Perché sì, in un mondo che non sa quello che vuole l’unico modo per vivere felici è essere spensierati. Questo è forse il regalo più grande che mi hanno fatto quei 150 bambini durante il tempo condiviso insieme.

Il 6 agosto prende il via un’avventura di tre settimane che coinvolge e sconvolge sette ragazze. Alle 4 di mattina, nonostante le poche ore di sonno, all’aeroporto di Malpensa era già palpabile la frenesia e l’agitazione nell’aria, oltre che sui nostri volti. Valeria, Ilaria, Carol, Giada, Jasmine e Beatrice sarebbero state le mie compagne di viaggio. Dopo 3 ore di volo atterriamo sul suolo russo: Mosca. Cogliamo l’occasione di visitarla per un giorno e mezzo, rimanendo sorprese dal piacevole clima e dall’atmosfera slava che ci circonda. La sera del secondo giorno, ci dirigiamo verso Kievskij vokzal, con i nostri bagagli da 25 kg cadauno, nemmeno fossimo dirette verso il Burundi. Ci apprestiamo a trovare i nostri posti e ad accettare le condizioni del treno, che ci ospiterà per parecchie ore, fino a raggiungere la città di Uneča nell’oblast’ di Brjansk. Sul treno incontriamo deliziosi personaggi che sempre mi porterò nel cuore, come un signore “ribattezzato” Gianfranco.

Sono circa le 5.30 di una mattina uggiosa ed arriviamo ad Uneča. È presto, ma non troppo per sorridere alla vista di Katja e Andrej, rispettivamente la nostra responsabile, o meglio “mamočka”, e il direttore del campo. In uno stato comatoso, dopo tante buche ed interminabili campagne, arriviamo a Novokemp. Troppo stanche e sconvolte per ammirare la vastità del posto, ci gettiamo sul letto. Dopo qualche ora di sonno, ci svegliamo e ci accorgiamo che il campo era già sveglio da un pezzo, che i bambini stavano salutando le proprie famiglie e i primi schiamazzi e risa si sentivano già.

Ad un primo acchito mi è sembrato come una piccola cittadina a sé. Sparse lungo il territorio ci sono sette piccole casette dove alloggiano i bambini durante la loro permanenza al campo. Sono rimasta subito colpita dai loro colori e dai personaggi di cartoni animati dipinti sui muri. Attorno c’erano la mensa, la casetta adibita a “radio”, la nostra gostinica (abergo) e tanto altro…

Nel pomeriggio siamo state accolte dagli animatori con un grande sorriso e dopo poco abbiamo capito quanto fosse complicato il loro compito: erano distribuiti due per casetta e dovevano rispondere alle esigenze dei bambini oltre che intrattenerli. La loro caratteristica principale era il sorriso. Lo abbiamo notato subito e subito è stato contagioso.

Il primo e probabilmente unico ostacolo è stata la lingua russa. Di primo impatto si è presentata come ostica, impenetrabile e incomprensibile, ma poi si è lasciata addolcire grazie al grande aiuto della nostra mamočka Katja che ci seguiva come un’ombra. È stata la nostra guida, una costante presenza materna che ci dava istruzioni e ci faceva sentire un po’ meno la nostalgia di casa. Quasi sicuramente senza di lei non sarebbe stato lo stesso, quindi un grande grazie va a lei. Giorno dopo giorno il rapporto con la lingua migliorava grazie al continuo contatto con i bambini durante le attività e alle lunghe nottate a parlare davanti al fuoco. È proprio vero che non si ha mai certezza di sapere perfettamente qualcosa fino a quando non se ne fa esperienza sul campo. I bambini, infatti, sono stati degli ottimi professori: per ore e ore ci tempestavano curiosi di domande sull’Italia e su di noi.

Durante le ore mattutine, fino a pranzo, io e Valeria ci occupavamo delle attività artistiche e poi di tutto quello che potesse riguardare la manualità, il gioco e l’arte. I bambini si divertivano a seguirci e a creare i propri lavoretti, utilizzando la loro fantasia, a volte stravolgendo il progetto iniziale, altre fidandosi ciecamente di noi, ma pur sempre producendo ottimi risultati. Ovviamente questo tipo di attività attirava i più piccini, ed è stato assolutamente appagante vivere con loro tre settimane, vederli sorridere, nonostante l’influenza che ha indebolito molti di loro. Di loro mi ha sorpreso soprattutto l’entusiasmo con cui accoglievano tutte le nostre proposte.

Dopo pranzo, si coglieva l’occasione di recuperare le poche ore di sonno notturne con la tichij čas (l’ora del silenzio), il riposino pomeridiano. Il più delle volte però quest’ora la passavamo in piscina con i collaboratori del campo o a fare la spesa, quindi niente che potesse riposare le nostre stanche membra.

Nel pomeriggio venivano organizzati dei giochi che stravolgevano del tutto l’aspetto del campo, come “il giorno degli indiani”, “natale a Novokemp”. Un’altra volta ancora Novokemp si è trasformata in una vera e propria città con aziende, negozietti, circo e cinema. Il nostro ruolo era quello di aiutare i collaboratori nell’organizzazione delle attività e a volte spettava proprio a noi spiegare ai bambini le regole del gioco.

Come dimenticare gli spettacoli “messi in piedi” in due ore? Balletti e vere proprie scenette comiche venivano preparate in pochissimo tempo! La musica accompagnava ogni ora del giorno fin dal risveglio, quando alle otto ci scuotevano le canzoni del mitico dj Maksim direttamente dall’europea San Pietroburgo a suon di Rammstein e musica pop. Queste canzoni sono state la colonna sonora della nostra avventura.

Dopo cena, quasi sempre andavamo al “klub” per ballare a ritmo di musica russa e non solo. Mi ricordo benissimo la prima volta che ho ascoltato delle tipiche canzoni pop russe, senza capirci nulla e schifandole quasi, buffo è che al termine delle tre settimane queste canzoni sono entrate nelle vene. In questa discoteca improvvisata ballavano dai più piccoli ai più grandi e i bambini erano proprio i più scatenati.

Dopo i momenti di svago era il momento della “planërka”, una riunione in cui, tutti seduti in cerchio, esprimevamo le nostre opinioni e i nostri pensieri riguardo la giornata appena trascorsa.

Grazie alla nostra Katja, abbiamo avuto la possibilità di visitare alcuni paesi vicini, meravigliandoci di come in Russia ci potesse essere ancora così tanta differenza tra ruralità e città. Siamo state accolte come vere e proprie ospiti, i paesani non hanno esitato ad essere amichevoli con noi, e incuriositi, parlavano, chiedevano foto insieme a loro e non hanno perso l’occasione di farci assaggiare delle specialità nostrane, ovviamente, immancabile la grečka (grano saraceno). Per non parlare di quel giorno in cui siamo state presenti alla festa in onore dell’inno russo, un vero spettacolo.

Inutile dire che i legami che ho costruito all’interno del campo si sono rafforzati giorno dopo giorno, permettendomi di instaurare sia con le ragazze italiane che con i collaboratori un vero e proprio rapporto di amicizia sincera, nonostante le difficoltà linguistiche. Ho imparato che se c’è il desiderio di comunicare, di trasmettere emozioni e pensieri, non importa il come e il quando, perché esiste sempre un mezzo efficace per farlo: gli occhi e il cuore. Quante volte i bambini si saranno chiesti cosa stessi blaterando, o perché parlassi così male, ma questo non li ha dissuasi dal presentarsi ogni mattina alle 10 sotto il tetto del “Papugaj kafe” (Il Caffè del Pappagallo), il nostro laboratorio. Le lunghe nottate al fuoco a parlare sono servite più di due anni di lezioni di russo all’università. Ho imparato che la Russia è molto più vicina di quanto pensiamo. A questo proposito mi porto nel cuore un motto: “dve strany, odin narod”, due nazioni uno stesso popolo, e io aggiungerei “uno stesso cuore”.

Il fatto che ci siano dei ragazzini che provengono da città contaminate dalle radiazioni passa in secondo piano, perché mai si penserebbe che vivano delle situazioni difficili visti i loro sorrisi.

Mi ero ripromessa di non piangere l’ultimo giorno, ma al klub, sedute in cerchio cantavamo “Evpatorija” e le lacrime scorrevano sui nostri visi: “Ja tebja ne skoro pozabudu”, non ti dimenticherò presto Novokemp.

Giulia Daghetta - 21 anni
Università Statale di Milano
(Mediazione linguistica e culturale)

Nessun commento:

Posta un commento