Il blog "Le Russie di Cernobyl", seguendo una tradizione di cooperazione partecipata dal basso, vuole essere uno spazio in cui: sviluppare progetti di cooperazione e scambio culturale; raccogliere materiali, documenti, articoli, informazioni, news, fotografie, filmati; monitorare l'allarmante situazione di rilancio del nucleare sia in Italia che nei paesi di Cernobyl.

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"Le Russie di Cernobyl" per sostenere, oltre i confini statali, le terre e le popolazioni vittime della stessa sventura nucleare: la Bielorussia (Russia bianca), paese in proporzione più colpito; la Russia, con varie regioni rimaste contaminate da Cernobyl, Brjansk in testa, e altre zone con inquinamento radioattivo sparse sul suo immenso territorio; l'Ucraina, culla storica della Rus' di Kiev (da cui si sono sviluppate tutte le successive formazioni statali slavo-orientali) e della catastrofe stessa.

11/06/10

UNA CITTÀ SOVIETICA MODELLO. RICORDI DI UN PRIPJATIANO

Il pripjatiano Sergej Nechaev, evacuato da Pripjat’ in seguito all’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl, ha raccontato al nostro corrispondente Ivan Ščeglov come tutto avvenne.


– Come è capitato Lei a Pripjat’? Che città era?


– A Pripjat’ ci vissi per 10 anni, dal 1976. Dapprima in città per i cantieri edili della gioventù vennero i miei genitori, i quali lavoravano alla centrale nucleare di Cernobyl, in seguito portarono anche me. A Pripjat’ ho trascorso tutta la mia giovinezza – era una città splendida, la natura meravigliosa, le belle vie: tutto era molto bello. A quei tempi Pripjat’ la si poteva chiamare una città sovietica modello. La città era ben attrezzata e aveva tutto il necessario, si edificava e si sviluppava rapidamente. Essendo per la gran parte la popolazione costituita da giovani, c’erano moltissimi bambini. Per una cittadina piuttosto piccola, c’erano ben cinque grandi scuole. Le classi elementari arrivavano fino alla “l”. Inoltre, il potenziale scientifico della città era molto elevato – a lavorare alla centrale di Cernobyl venivano da tutto il paese specialisti altamente qualificati.


– Come ricorda la notte dell’incidente?


– L’incidente ebbe luogo la notte tra venerdì e sabato 26 aprile. Io facevo allora la decima classe. A quei tempi nel programma scolastico per le classi maggiori c’erano i cosiddetti raduni militari per la preparazione al servizio nell’esercito. Di solito essi si svolgevano presso le unità e le scuole militari, ma poiché eravamo tantissimi, noi li facevamo nelle nostre scuole – dormivamo assieme ai cadetti sulle brandine nella palestra. Proprio quel venerdì avevamo fatto le esercitazioni, perciò dormimmo tutta la notte come massi, e al mattino non ci fecero uscire dalla scuola. Ovviamente tutti subito si allarmarono – eravamo ormai abbastanza grandi da capire che qualcosa era successo. I nostri genitori lavoravano alla centrale e noi avevamo idea con che cosa lavorassero e di quali fossero i livelli di pericolosità. All’inizio ci fu un vuoto d’informazioni e nessuno sapeva niente. Poi fecero la loro comparsa delle voci – qualcosa era successo alla centrale… Più tardi ci lasciarono andare a casa, dove mi attendeva la notizia più spiacevole – mio padre era in ospedale. Lui lavorava come capo ingegnere-meccanico al primo turno e quella notte era in servizio, risultando così tra le prime vittime della catastrofe. Noi non sapevamo ancora che cosa esattamente fosse successo, ma dalle finestre del nostro appartamento si vedeva la centrale. Il reattore nucleare, di solito riverberante d’azzurro, era nero. Quel giorno andammo in giro per la città, io portai perfino un pacco a mio padre in ospedale, in città tuttavia si percepiva la tensione. Quando fece buio e guardai la centrale nucleare dalla finestra, vidi al suo interno un risplendere rosso – era la grafite che bruciava. Furono quelli il giorno e la notte più terribili e angoscianti.


– Che cosa la toccò più di tutto?


– Una settimana prima dell’incidente in città era iniziata la “settimana di difesa civile”. Mia sorella aveva allora otto anni e a scuola era stato loro ordinato di preparare delle fasce di garza per il viso. La mattina del sabato nessuno sapeva ancora dell’incidente, lei andò a scuola, da dove poi non li facevano uscire. La maestra delle classi elementari fece indossare ai bambini le fasce, e quando finalmente li lasciarono uscire, ci fu uno spettacolo veramente molto triste – una piccola bambina spaventata, in lacrime, che non capiva cosa stava succedendo. Con una grossa cartella nella mano e la fascia di garza sul viso. Era crudele e terribile a vedersi


Racconti dellevacuazione. Come si svolse?


– Le voci sull’evacuazione cominciarono a diffondersi il mattino seguente. Vorrei far notare in special modo che tutti i discorsi sul panico che ci sarebbe stato in città sono un’assurdità. Nessuno era nel panico, tutto era tranquillo, e a mio avviso per quei tempi l’evacuazione venne effettuata brillantemente. Alle 9 del mattino alla radio annunciarono l’evacuazione, e verso le tre del pomeriggio non ci trovavamo già più in città. Dapprima vivemmo nei villaggi circostanti, in quanto giravano voci che saremmo ritornati in città, ma poi divenne evidente che questo non sarebbe avvenuto – pure i villaggi cominciarono a essere evacuati. Vissi un mese da dei parenti e poi mi iscrissi all’istituto a Mosca.


– Quando andò nuovamente a Pripjat’?


– “Ritornai” a Pripjat’ nel 1994. Allora la città era ancora in condizioni normali, le comunicazioni in qualche modo si mantenevano ancora. Funzionava perfino la piscina – vi nuotavano i turnisti che si trovavano là. Durante il viaggio provavo molto timore, pensavo che mi si sarebbero scatenati addosso i ricordi, tuttavia non accadde nulla del genere… Certo, era triste, tuttavia si sentiva che non era una città viva…


– Si ricorda spesso di Pripjat’?


– Dimenticare Pripjat’ è impossibile, perché là trascorsi gli anni della mia gioventù. Spesso mi sento e m’incontro con i miei compagni di classe, ricordiamo il nostro passato comune. Ci sono alcuni che dicono di non voler vedere Pripjat’ nell’aspetto in cui si trova oggi – vogliono ricordarla com’era allora, altri al contrario aspirano a tornarci il più possibile. La nostalgia c’è. Là c’era un determinato regime di vita, che ci toccò cambiare bruscamente; d’altronde anche tutto il paese è cambiato fortemente. Per noi esiste una netta demarcazione tra PRIMA e DOPO. Tanto più che il periodo “prima” è legato all’URSS e alla vita tranquilla a Pripjat’, mentre il periodo “dopo” agli sconvolgimenti nel paese, all’instabilità finanziaria. L’incidente di Cernobyl si potrebbe dire che sia avvenuto in quel momento cruciale. Il picco della nostalgia si manifestò però nei primi tre anni dopo l’evacuazione, in seguito si comincia piano piano a dimenticare tutto. Adesso è solamente memoria e una parte del passato.


Data: 24.04.2009

Fonte: eco.rian.ru

Traduzione: S.F.

Link al pdf dell'articolo: Una città sovietica modello
Link all'articolo originale: Эталонный советский город

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